Con l’ultimo DL, che ha stabilito le nuove zone rosse, sono stati indicati anche gli esercizi commerciali che offrono prodotti di prima necessità e che quindi possono restare aperti. Tra questi ci sono le librerie. È una scelta importante perché la cultura dovrebbe essere parte integrante della vita sociale.
Quello che proprio non comprendiamo è la motivazione dell’esclusione (per la seconda volta) dei negozi di dischi. È chiaro che il prodotto fisico rappresenta ormai poco meno del 20% del mercato ma, nel primo durissimo lock down, è stata la musica a sostenere gli italiani. La musica, come dimostrato da vari studi sull'argomento, può svolgere un'azione curativa ed anti depressiva, ed ha la capacità di unire le persone.
Un grave errore quindi escludere i negozi di dischi discriminandoli rispetto alle librerie. Errore tra l'altro che da sempre avviene sul piano fiscale, con l'esenzione dell'IVA per i libri o per i prodotti musicali venduti nelle edicole e con l'applicazione dell'IVA al 22% su tutte le pubblicazioni musicali presenti nei negozi di dischi.
Come abbiamo già anticipato la musica è un bene essenziale e non tutti la ascoltano in streaming, anzi negli ultimi anni molti sono ritornati ad utilizzare il vinile. Pertanto sosteniamo i consumi dei supporti fonografici equiparando i negozi di dischi alle librerie. Chiudere i negozi di dischi indipendenti sta danneggiando una buona parte di piccoli esercizi commerciali che già soffrono la concorrenza dell’e-commerce e per i quali questo nuovo lockdown sarebbe veramente duro da superare.
La musica è cultura. A chi vuole controllare le vite altrui la cultura fa paura.
Le librerie devono vendere i libri di Bruno Vespa e affini; non c’entra niente con la cultura; dopodichè vendono anche i dischi con l’iva al 4% e non al 22%. In questo modo si tolgono di mezzo un concorrente.