Da “uomo che premette” escludimi dal novero dei giornalisti musicali. Sono qui ad auscultarti in quanto specialista in eccentrismi mentali, da una “Clinic” di esperienza pluridecennale in “patologie musicali”. Con “Exuvia” mi imbandisci una tavola di prelibatezze da chef stellato della canzone italiana.
- Il 7 Maggio è stato pubblicato il tuo nuovo album “Exuvia”. A differenza di tutti gli album precedenti, è evidente nella cover del disco la mancanza del tuo nome. “ La scelta” è dovuta ad una motivazione recondita o ad una questione stilistica? Vi è un qualche legame con il simbolo enigmatico che campeggia sulla copertina?
La scelta di non mettere il mio nome in copertina non fa altro che sottolineare la crisi di identità che si respira in tutto l’album. Essere in fuga dai miei dischi precedenti significa allontanarsi anche da ciò che il mio nome d'arte rappresenta. Per esempio all’interno del booklet “Caparezza" è molto più piccolo e meno presente di “Exuvia” che, al contrario è più visibile e più marcato.
Il simbolo del disco è la la sintesi del passaggio di fase da un cerchio ad un altro attraverso delle spirali, usate da secoli per rappresentare il ciclo della morte e della rinascita. Mettere il simbolo in copertina, invece della solita foto dell’artista, serve a spiegare che in questo lavoro l’atto ha una rilevanza maggiore rispetto a chi lo compie.
- Sono trascorsi quattro anni dal precedente album “Prisoner 709”, quali sono le letture e i dischi che ti hanno fatto compagnia in questo periodo? Hanno in qualche modo ispirato il tuo lavoro o sono stati un diversivo all’impegno?
Ci ho messo 3 anni buoni a realizzare questo disco per cui ho letto, visto e ascoltato parecchia roba. Le letture che certamente hanno avuto un’influenza sulla composizione dei brani sono:
"Autobiografia Di Un Genio”, libro sulla vita di Beethoven a cura di Michele Porzio
Ovviamente questa lettura mi ha fatto innamorare del compositore tedesco. Ho anche recuperato alcune pubblicazioni della fitta corrispondenza di Ludwig.
La sua capacità di scrittura mi ha riportato alla memoria le “Lettere a Theo” di Vincent Van Gogh. Entrambi i personaggi sono stati una sorta di spirito guida per gli album che mi hanno ispirato.
“Il Viaggio Di G. Mastorna” a cura di Ermanno Cavazzoni
Questa sceneggiatura di Fellini mai portata a compimento (purtroppo, perché ne sarebbe venuto fuori un capolavoro) mi ha spinto ad ambientare il concept del disco in un limbo senza scampo.
Mentre Mastorna è un musicista defunto intrappolato una città ultraterrena dove tutto è ambiguo e grottesco, io sono un musicista ancora in vita di anni 47 (morto che parla) e mi aggiro spaesato all’interno di una selva a tratti oscura e a tratti luminosa, comunque inquietante.
“La Folla Al Nero” di Titti Albenzio
Titti Albenzio non è una scrittrice ma una pittrice che ha scritto un libro.
Il libro in questione narra le vicende di un pittore che mal sopporta il mondo circostante, che gioca a fare il guastafeste a suo discapito e che vive tutta la vita immerso in un cinico senso di insoddisfazione.
Ho letto questo libro mentre scrivevo “Azzera Pace”.
“L'Arte Della Gioia" di Goliarda Sapienza
Non ho ancora finito di leggerlo ma già dalle prime pagine la morte veniva chiamata “La Certa” e questo mi è bastato per dare finalmente un nome alla protagonista del mio brano omonimo.
“Lettera Al Padre” di Franz Kafka
Kafka è il mio autore preferito, soprattutto perché racconta situazioni paradossali e claustrofobiche con molta ironia. In realtà il sarcasmo di Kafka può essere straordinariamente scambiato per drammaticità, almeno questo traspare da alcune trasposizioni teatrali. A me è sempre sembrato un autore ironico.
In “Lettera Al Padre” però non c’è proprio niente da ridere, d’altronde non è nemmeno un libro ma una missiva mai consegnata in cui l’autore rimprovera al genitore un'eccessiva insensibilità, severità e superficialità.
Hermann Kafka comunque, agli occhi di suo figlio, non si mostra più solo come un padre ma assume le sembianze di un uomo attempato che perde robustezza e vigore.
Questo mi ha mi ha fatto pensare al tempo durante il lockdown di marzo 2020.
Sostituire Hermann Kafka col tempo mi ha aiutato a concepire un pezzo come “Zeit!”, che parla appunto di un avvizzito Chronos che man mano appassisce come ogni essere vivente, perdendo forza ed energia.
“Canti Orfici” di Dino Campana
L’inizio di “Fugadà” è affidato ad alcuni versi de “La Petite Promenade Du Poète” tratto da questo libro di Campana.
Trattandosi di un elogio della fuga non poteva che essere affidato al poeta di Marradi che pare non riuscisse mai a stare per troppo tempo nello stesso posto.
Per quanto riguarda i dischi, beh, sono troppi per citarli tutti ma grande rilevanza hanno avuto “The Colour Of Spring” e “Spirit Of Eden” dei Talk Talk, “Igor” di Tyler the Creator e il brano “Do I Wanna Know?” degli Arctic Monkeys che ho studiato a lungo per poter comporre un pezzo come “Eterno Paradosso”.
- In questo album hai ospitato due artisti poco noti al pubblico italiano, che hai già presentato con dei post sul tuo profilo ufficiale Instagram. Come nascono le tue collaborazioni e come vengono scelti i brani che ti vedono protagonista insieme ad altri musicisti?
In genere scelgo i featuring in base alla funzionalità del brano. Non ci sono logiche di altra natura nelle mie collaborazioni.
In questo disco sono alla ricerca di me stesso, di nuove sonorità e di vie d’uscita, mi sembrava normale ricercare anche gli ospiti.
“El Sendero” è un brano il cui ritornello è di Mishel Domenssain, cantautrice messicana che ho scoperto in un giorno di “digging” (ricerca di campioni da poter utilizzare nei brani). Chiaramente è come se lo avessi scritto a 4 mani con lei.
“Chantology” è invece un pezzo dalle atmosfere più psichedeliche. Ho letto che i Demob Happy in passato facevano cover dei Pink Floyd, nel presente sono la mia rock band preferita e allora quale migliore occasione per avvalermi della voce del leader Matthew Marcantonio?
- In passato hai collaborato con artisti internazionali, come Tony Hadley, DMC e Michael Franti, che ricordi conservi di queste esperienze?
Tony venne a registrare la sua parte allo studio Transeuropa di Carlo Rossi, il mio storico produttore. Tutti i suoi takes erano perfettamente intonati, non c’era che l’imbarazzo della scelta. Con lui la frequentazione è continuata, abbiamo fatto un video insieme, è stato mio ospite su diversi palchi e ci siamo visti anche a Los Angeles per la presentazione del documentario sugli Spandau Ballet.
Franti mi mandò la sua parte in tempi record, era da qualche parte nel mondo alla ricerca di uno studio da cui inviarmi i files.
Mi ha poi raggiunto a Milano per girare il video di “E’ Tardi” e mi ha invitato al suo concerto. Ricordo che ad un certo punto è sceso dal palco per venire a raccattarmi dal pubblico e farmi cantare qualcosa. E’ un uomo straordinario, ha un’aura di positività davvero contagiosa.
DMC era uno dei sogni della mia vita. Finalmente avevo un pezzo che parlava del rap (“Forever Jung”) e così ho provato a contattarlo e siamo riusciti a collaborare. Purtroppo non ci siamo incontrati ma ci siamo scritti via mail.
- Sei all’ottavo album ed è chiaro che ha un forte legame col suo predecessore “Prisoner 709”. È solo una sorta di liberazione del prigioniero 709 o è anche una forma di evasione da tutto il passato artistico di Caparezza?
Io ho bisogno sempre di distruggere quello che ho fatto per ritrovare gli stimoli e fare altro. Non mi piace soddisfare le aspettative per cui faccio finta di non averle. Sparire dai social e dalle passerelle dello spettacolo mi aiuta a raggiungere questo scopo. Per quanto riguarda Caparezza, beh, “Exuvia” e “Verità Supposte” sembrano dischi di artisti differenti e visto che sono passati quasi 20 anni dall’uno all’altro direi che è giusto che sia così.
- “Io voglio passare ad un livello successivo” scrivevi in un testo, un pochino di anni fa… Ne hai superati di “livelli” da allora! Oggi guardando nel retrovisore della tua “autoipnotica” e avendone la possibilità, cambieresti qualcosa del percorso artistico che ti ha portato fin qui?
Sinceramente non cambierei nulla del mio passato artistico. La diffidenza che mi riservavano all’inizio del mio percorso, i passi falsi che ho fatto, le leggerezze commesse, sono tutte spinte a fare meglio. Uno come me per migliorarsi ha bisogno di nutrirsi di errori.
(Foto di Alfredo Ferrero. Tutti i diritti riservati)
Spettacolare intervista Antonio. Come sempre le migliori interviste provengono dalle domande acute e profonde fatte da chi le formula…. ed ovviamente quanto conosci l’intervistato!!!! Complimenti!!!!